Malafede: l’incipit (un prologo).

Mi osservo le nocche, l’inverno mi spacca le nocche in crocette sanguinolente. Mio padre sta conficcato nella poltrona in pelle nera di cui ha preso la forma, gli occhi puntati su Milan Channel. In rosso-nero ci sono adolescenti che corrono su erba ingiallita. Vittoria sta sdraiata accanto a me, la testa sulle mie ginocchia e gli occhi su una foto che teniamo appesa al muro, mia madre a braccetto con una giovanissima Claudia Cardinale. – Signor Cieli, – dice alla prima interruzione pubblicitaria – non se ne perde neanche una di partita lei.

– E cos’altro dovrei fare? – si affretta a rispondere papà senza pensarci su un attimo. Risucchia una guancia tra i molari, appoggia i palmi sui braccioli per mettersi in piedi, fa cinque passi lenti fino alla finestra. Un chiarore celeste gli illumina il mento, il sole sta per nascondersi dietro i tetti che ci impediscono la vista del mare. Guarda giù in strada per qualche secondo prima di ritornare a sedersi davanti al suo quarantaquattro pollici.

Mio padre non è felice, penso annusandomi le nocche. Il mio sangue odora di geranio. Io voglio che mio padre sia felice.

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