Ilvarum Yaga

Mi sono sentito nel posto giusto, ieri, a Carosino, presentando Il figlio di Persefone circondato dalla tavole della  mostra collettiva di beneficenza “Ilvarum Yaga: 100 disegnatori contro la strega rossa”. I ragazzi di Manuscripta, ideatori della mostra, hanno convinto il gota del fumetto italiano a raccontare, in una tavola, la propria versione di Ilvarum Yaga, una strega capace di trasformarsi in vento e polvere, che s’insinua nelle case degli uomini, si nasconde nei corpi dei bambini e lentamente si nutre delle loro vite. Come spiega Piero Angelini “questa Strega Rossa è chiaramente una metafora dell’Ilva, e ogni autore è stato liberissimo di interpretare, il personaggio e la situazione della città di Taranto”.

Mi sono sentito a casa perché il mio romanzo poteva essere una versione scritta di quelle tavole e quelle tavole parlavano del romanzo.

Come non vedere nella madonna-mamma fumante di Squaz una delle “madri avvelenate che avvelenano i propri figli prima nel grembo e poi con il proprio latte” del mio libro?

Il terrificante gigante immaginato da Federico Bertolucci è una visualizzazione perfetta del “Dio degli inferi dalla cupe chiome, tornato a calpestare la terra.”

Nell’esercito che marcia contro il siderurgico nella tavola di Luca Ralli, vedo la “marea umana che si muove verso i cancelli della fabbrica” nel prefinale del romanzo. Un insieme di individui pronti  “a formare un unico corpo e spegnere il fuoco di Ade sotto il calcagno”.

Potrei continuare. Coincidenze? Affatto. L’ILVA, prima Italsider oggi ArcelorMittal, rappresenta uno dei buchi neri della coscienza collettiva nazionale: è la nostra Hiroshima ed era inevitabile che, prima o dopo,  producesse il proprio immaginario.